Archivio per giugno 2010

Pizzo Deta – Via nuova – “Spazzacamin”

Goulotte appenniniche. Nuova via a Pizzo Deta!

di Fabio LUFFARELLI

Fabio Luffarelli

Ecco, mi arriva l’sms di Daniele: “domani vado con Mauro da qualche parte”…posso mancare? Non credo. Al mio sì arriva un altro messaggio: “ricordati di potare qualche chiodo da roccia e la frontale”. Tra me e me penso: “ecco una nuova via stile Daniele, misto estremo”.

La mattina seguente l’appuntamento è con Mauro Natali davanti alla palestra di arrampicata di Sezze, entrambi aspettiamo Daniele per circa un quarto d’ora. Mauro preoccupato lo chiama ma Dan dice di essersi appena svegliato, quando eccolo che arriva “tempestivo” con il suo bolide. Partiamo al volo, potevamo non essere in ritardo? Stefano Milani è già a Frosinone e Daniele dice di raggiungerlo in appena dieci minuti. Avete presente la macchina di ritorno al futuro? Ebbene, la stessa cosa. Sezze -> ciociaria in tempo record. Ma non è finita perché dobbiamo sopravvivere ad almeno un paio di colazioni…Ma ne avremo un gran bisogno.

Mauro Nadali

Arriviamo a Roccavivi, il paesino dal quale si accede al versante nord di Pizzo Deta (2054 m), con il suo caratteristico canalone chiamato “Peschiomacello”. L’avvicinamento in questa zona è, come al solito, a grande interpretazione. Sali e scendi, sterrate e stazzi, dove solo la memoria di due esperti (Stefano e Daniele) di queste zone ci può orientare. Le condizioni sembrano ottime e la giornata altrettanto. Arrivati sotto una grande parete rocciosa, dove la settimana precedente Daniele con Alessandro Di Lenola avevano aperto una nuova via, Stefano continua a salire per Peschiomacello e Daniele ci propone una nuova variante che già stava studiando da giù. Nel frattempo Mauro e Daniele mi “usano” come sherpa battitracce, dicendomi “dai sei giovane, falle bene ste tracce”. Alla grande! Stefano salutandoci ci dice: “avete idea che scenderete forse di notte?”. Esagerato, penso. In ogni caso non mi risparmio molto a battere la traccia su quella neve in cui si sprofonda.

Da qui si fa tutto emozionate e nuovo, questo senso di avventura alla scoperta di nuovi angoli ci porta a intercettare linee inesistenti o possibili. Dopo un po’ di studio ci spostiamo leggermente verso sud rispetto a Peschiomacello, dirigendoci sotto i grandi roccaforti rocciosi ben visibili da sotto la montagna. Ci sistemiamo un po’ di ferraglia ed iniziamo a salire slegati per un pendio con un salto ghiacciato e divertente. Arriviamo così ai piedi delle pareti rocciose, a prima vista nulla sembra praticabile, tutti camini senza uscita, strapiombi; ma lo ammetto non ho l’occhio. Vaghiamo un pochettino, ritorniamo verso destra, Daniele è profondamente concentrato, quasi ipnotizzato, tant’è che quasi lo perdiamo. Non lo vediamo molto convinto, sembra non ispirarlo nulla, quando improvvisamente decide di provare una specie di camino con una colata di ghiaccio. La vedo e penso: “per la miseria e chi avrebbe mai immaginato di salirla”; non pensare, non pensare. Inizia così il primo tiro, protezioni aleatorie fino ad un albero sicuro per una clessidra, ma lo stesso albero impedisce un agevole passaggio per quella che è la prima sosta. Capisco subito che sebbene questi arbusti rovinino un po’ la sensazione di alta quota che potremmo avere, sono vitali. Il primo tiro è breve ma non lascia sconti, appena si inizia a salire la verticalità è palese…Ed io che ho iniziato ad arrampicare da nemmeno un anno, senza troppe pretese e costanza: “ma che ci faccio qui??”. Ci prendo subito gusto però, quell’albero è un po’ fastidioso da passare ma eccoci subito in sosta. Il bello però deve ancora venire, perché il secondo tiro si sviluppa tutto dentro quel camino spettacolare. Dan parte subito, io e mauro in sosta su un albero. Mi inizia subito a cadere una doccia costante di ghiaccio, condanna che subirò fino in vetta, dato che sono stato sempre l’ultimo di cordata. Daniele si vede e non si vede, il passaggio è strettissimo e non riesco a capire dove si stia proteggendo, Mauro mi chiede costantemente: “lo vedi? Che fa?”. Cerco disperatamente di catturare qualche foto in quei rarissimi momenti in cui non cade niente, poi, stando proprio sulla verticale, non è simpaticissimo dare colpi di testa a quello che cade. La faccenda sembra farsi seria: Daniele si toglie lo zaino e si sente mettere un chiodo. Se Dan arriva a tanto la faccenda è davvero seria. Altra doccia, imprecazioni e impazienza ed è fuori, ma non si sente nulla, non si vede. Io e Mauro sentiamo un vago urlo e un successivo rapido tirare la corda, è in sosta. Parte Mauro, altra bella doccia di ghiaccio. La cosa interessante a questo punto è che in questo camino pazzesco Mauro si carica lo zaino di Daniele. Non è difficile immaginare le mille imprecazioni e la mia attesa sotto questa costante pioggia gelata. Ma il ghiaccio è letteralmente stupendo, quel tiro assolutamente impegnativo; foto e parole non lo possono rendere. Salgo, spacco i piedi, cerco fessure dove incastrare le punte dei ramponi, non so se usare le piccozze o le mani (…ci manca solo che mi do le piccozze sulle mani), nel frattempo mi tocca togliere le protezioni, tranne quel chiodo essenziale. Nel frattempo penso a Daniele che è salito da primo. Arrivato su vedo Dan che mi filma. Non riesco a capire se sia più insopportabile sentirsi il ghiaccio che penetra nella schiena sudata,

Secondo tiro

oppure se prendere e lasciare le piccozze riponendo estrema fiducia in sfuggenti millimetri della punta di rampone. Sono fuori, un tiro magistrale, già la via merita solo per questo fantastico passaggio. Non finisce però, ecco prospettarsi subito il terzo tiro: un salto di una ventina di metri con ghiaccio sottilissimo, quasi inesistente, tra erba e roccia. Daniele inizia velocissimo, sicuro anche qui. Si incastra su una bella fessura e si appoggia sulla parete sporgente di sinistra, portando avanti un felice gioco di opposizione. La vera abilità qui è saper proteggere, di chiodi da ghiaccio nemmeno a parlarne, solo dadi e friends e qualche chiodo. Anche questo terzo tiro supremo, nonostante la solita doccia. A questo punto Daniele studia la linea e prova a capire dove è più opportuno far passare quello che ormai è il quarto tiro. Un breve traverso in conserva ci porta all’attacco dell’ultimo tiro, una serie di muri ghiacciati, vere e proprie “goulotte appenniniche”. Straordinario cosa riesce a regalare una quota che a stento tocca i duemila metri. Anche questo tiro impegnativo, protezioni aleatorie. Un tiro che sembra non finire mai, proprio quando le forze si fanno meno, considerato che la luce del sole ormai volge al tramonto e sui polpacci pesa l’avvicinamento di Peschiomacello, che già di per sé è un trekking impegnativo. Non solo, proprio all’ultimo ci si mette un piccolo dado che non vuole uscire dalla fessura.

Terzo tiro

Un po’ di martellate con la piccozza ed anche questa è fatta, siamo fuori. A questo punto non so più dove sono, so solo che Peschiomacello è sulla destra e la vetta in alto: strepitoso, scenario alpino ad un’ora da casa. Finalmente all’uscita di quell’ultimo passaggio l’ultima luce del sole ci bacia per farci vedere che manca solo un canale per giungere in vetta. Nel frattempo sulla destra si vedono delle tracce che risalgono un canale abbastanza scosceso. Chi può essere quel matto che si avventura da queste parti? Daniele la settimana precedente, l’uscita di quella via aperta con Alex.

Gli ultimi passi si fanno sempre più pesanti: bisogno di cibooo! Finalmente eccoci alla madonnina e alla croce di vetta, una vera e propria apparizione al volgere del giorno. Tempo per fare un po’ di foto, di mangiarsi qualcosa, godersi la luce del tramonto e via giù, anche perché fa un freddo cane. La notte scende presto a Peschiomacello, che ormai sembra una passeggiata in discesa, anche se in alcuni punti il ghiaccio è di marmo; si vedono le orme di Stefano. Una luna magnifica e il cielo stellato ci premiano. Quasi mille metri di dislivello e forse (ma forse) più di trecento metri di sviluppo della via.

OMBRE APPENNINICHE

Alle otto siamo alla macchina, tutti e tre sentiamo il bisogno di una bella pizza ma fato volle scegliere una pizzeria più fredda della vetta di Pizzo Deta; non c’è problema con quella fame si apprezza di tutto. Attorno a quel tavolo rivediamo un po’ di foto, la soddisfazione è tanta. Subito Dan ci stimola a pensare il nome della via, ma a nessuno viene in mente qualcosa in particolare. Non so, se si tratta di camini io mi sono sentito un po’ spazzacamino, ma questa è stata una mia sensazione a posteriori. Una cosa è certa un Appennino così non si vede tutti i giorni, se non lo vivi non sai neppure che ci sono certe condizioni: “Alla scoperta di Pizzo Deta!”. Un grazie a Daniele che ce lo fa scoprire con la sua esperienza e determinazione.

Daniele

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MONTE VELINO


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