Archive for the 'Misto' Category

Pizzo Deta – Forse via nuova – …acci tuoi! Il battesimo di Ale.

Una vecchia salita ripescata dal cappello, buona lettura.

Dan.

Relazione tecnica, Pizzo Deta 2041m anno: passato : ???

Team: Daniele ed Alessandro Di Lenola

Lato: Valle Roveto conusciuto come Peschiomacello.

Inizio: invece che affrontare il primo vero cambio di pendenza nel vallone di Peschiomacello virare drasticamente a sx ed infilarsi nell’imbuto che si forma tra una netta lama staccata di roccia molto grande.

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Per arrivare all’attacco della salita si impiegano circa 2-3 ore a seconda di quanta neve c’è. L’attacco è appunto tra la gigantesca lama staccata di roccia e la prima parete che si incontra salendo il famoso vallone di Peschiomacello. In realtà per andare a prendere i torrioni di roccia del lato che guarda la valle Roveto bisognerebbe aggirare sempre a sx la lama. In realtà questa volta ci si è immessi nel bel mezzo. Il primo tiro è un pendio che si aggira sui 55° di pendenza ben ghiacciato 25m circa con un saltino a 60° prima di incontrare un chiodo arrugginito esattamente sulla placca a dx. Da qui allestire una sosta sulle piccozze e si affronta il 2° tiro, il primo impegnativo. Il salto di un masso gigante incastrato tra la lama e la parete il cui scavalcamento è impegnativo in quanto la parete sul lato dx è molto liscia ed incrostata di neve inconsistente. Saltato il masso se ne incontra un altro masso più piccolo incastrato in cui si passa sotto strisciando come serpi. Dopodichè si può decidere se uscire in parete aperta oppure sguisciare sotto, terzo masso incastrato e fuoriuscire. Noi siamo usciti in parete con passaggio delicato. Un pendio a 45/50° porta ad un masso da dove da una lametta si può assicurare il secondo di cordata. Tirando via a sx si percorre un tiro con goulotte a 65° gradi ben formata niente di difficile e si passa attraverso degli arbusti a scavalcare una costola. Si segue la linea logica verso dx fino ad una placca che sbarra la strada dove si fa sosta, saltini ghiacciati a 60°. tiri per ora corti al max 30 m. Si esce a dx per 50 m e poi sulla sx. Si taglia di netto a dx per 45 m per andare a prendere la parte della parete che sembra più rotta. In realtà qui ci sono i passaggi chiave della via. Due tiri, fattibili in uno solo lungo se il compagno di cordata sa fare sicurezza. Sul lato sx è stato lasciato un chiodo arancione in sosta. Affrontare non il diedro a sx ma la fessura centrale ( non quella a dx ). Qui il passaggio che con la neve inconsistente ho trovato molto delicato. In alto a circa una ventina di m un altro chiodo grigiastro da dove ho fatto sosta. Sopra verso dx un altra fessura intasata di ghiaccio con passaggi su erba ghiacciata. Lasciati su questo tiro 2 chiodi da roccia uno a lama l’altro a u. Si esce per 40/45 m fino alla parete di roccia soprastante dove dopo aver finito i chiodi fare la sosta è stato molto complicato (utili per fare la sosta due micro friend). A questo punto si tira leggermente a dx e poi dritti per 50m su pendii ghiacciati max 55°/60°. Poi ancora dritti per latri 50 m. Poi sempre su traversando un paio di volte fìno a guadagnare la vetta dopo un paio di false vette. Partenza dal paese di roccavivi alle 8,00am ed arrivo in vetta alle 16,00pm.

Nome della via “…acci tuoi! Il battesimo di Ale.”

PS: 4 chiodi sono stati lasciati in parete. Ci si poteva mettere un po’ di meno ma ho perso un po’ di tempo a spiegare ad Alessandro come si faceva sicura e come si toglievano i Friend. 😉

Seguire la linea blu, la rossa è la clssica di Peschiomacello

La partenza è la linea rossa

La linea rossa e quella blu sono altri due tiri quelli piu impegnativi.

Jackson – parete Nord dell Droites

Testo Daniele Nardi

Foto e Video Damiano Barabino

Una giornata tra amici. Senza aspettative. L’appuntamento è a Genova, il venerdi. Salgo direttamente da Roma dopo un appuntamento di lavoro. Arriviamo a Courmayeur, si dorme. La mattina facciamo la coda al tunnel intasato da un camion fermo. Contiamo i minuti per non perdere la prima dei Montet da Chamonix. Una bella salita anche se il ghiaccio non era straordinario ma in condizioni. Decidiamo per la Jackson alla parete nord delle Droites, una variante della famosa Ginat. L’avvicinamento non è lungo, incontro Marco Farina e d i suoi amici, ci siamo conosciuti in Patagonia e ci ritroviamo qui per caso. Saliamo la parete in poco più di sei ore e la sera ci ritroviamo al bivacco invernale del Couvercle. Il giorno dopo in mattinata siamo a Chamonix. Giriamo, parliamo, qualche nuovo progetto per la testa, chissà.

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PAtagonia – Tentativo al Cerro Torre

Foto di Daniele Nardi e Andrea Di Donato

 

Daniele Nardi con alle spalle il Fitz Roy

Il tentativo al torre è stato veramente da sballo. Ci siamo ritrovati Io, Marcello Sanguineti ed Andrea Di Donato. Una cordata a tre per la via del compressore di Cesare Maestri. Dalle previsioni meteo era evidente che ci sarebbe stato un peggioramento delle condizioni. Non era tuttavia certo in che momento sarebbero cambiate. In Patagonia puoi essere prudentemente sicuro delle previsioni meteo per due giorni, mentre quando si comincia a parlare di terzo o quarto giorno diventano assai inaffidabili. Abbiamo la radio con noi e ci siamo prefissi di contattare Maria dello Shop Patagonia Hikes per una lettura delle previsioni nei giorni successivi alla partenza. Il primo giorno arriviamo al campo Nipo Nino con l’intenzione di rimanere piu giorni. LA mattina successiva affrontiamo la salita che ci porta di lato al campo Norvegese e poi fino alla spalla conosciuta come l’Hombro. Qui incontriamo due amici Italiani del corpo sportivo militare di Haute Montagne di Courmayeur, Marco Farina e Davide Spini. Quando arriviamo sulla spalla loro erano già in parete. Purtroppo il vento forte della giornata li costringe alla discesa. Cominciano cosi le operazioni di costruzione della truna dove rimarremo tutti e cinque a bivaccare in attesa dell’alba. Siamo tutti molto motivati. La roccia non è in perfette condizioni spesso è sporca di neve e questo rallenta le operazioni di scalata. Il tempo sin dalla mattina non ci incoraggia molto ma siamo decisi a fare un tentativo mentre i nostri due amici Italiani decidono saggiamente di scendere. Continuiamo a scalare fino al tredicesimo tiro al famoso Monumental Bolt Traverse. Al termine del primo tiro del traverso manca un bolt e la progressione si fa complicata. La neve sulla parete si scioglie e lascia cadere acqua e pezzi di ghaccio. Il vento si alza. Compaiono le prime nuvole, siamo in tre e sicuramente più lenti di una cordata a due. Decidiamo di scendere. Lunga ed interminabile arriviamo alle 22,00 di sera al campo Nipo Nino. Una bellissima avventura e non ho nulla da rimpiangere. Sono certo che prima o poi ci saranno altre opportunità di ritentare la scalata.

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Patagonia – tentativi al Cerro Standhart

Foto di Daniele Nardi e Andrea Di Donato.

Daniele NardiIl primo tentativo alla Standhart comincia ad un orario strano per me ed Andrea Di Donato. Nei giorni precedenti al tentativo è scesa tanta neve ed arrivare al campo Nipo Nino ha significato affrontare tanta neve fresca. La fortuna è che qualcuno partito prima di noi ha battuto la traccia, il che ci agevola la salita al campo.

Cerro Torre, Torre Egger, Cerro Standhart foto. D.N.

Non siamo stati altrettanto fortunati la notte quando lasciamo il campo. La neve è alta e si sfonda molto. Per questo abbiamo deciso di partire molto presto, alle 22,00 circa lasciamo il campo. E’ una vera lotta, sopratutto quando comincia il pendio finale che porta al colle Standhart.

Daniele al colle Standhart foto di A.D.D.

In alcuni punti siamo veramente indecisi su cosa fare se continuare oppure tornare indietro. In effetti il pendio è ripido a sufficienza per scaricare giù tutta quella neve soffice. Ma grazie alla cordata di Marcello che ci dà il cambio al comando ed un aiuto a battere la traccia decidiamo di continuare. I primi tiri sopra il colle vado avanti io. Non sono affatto banali. La neve appena scesa ha reso i tiri piuttosto impegnativi e non è facile capire quale fessura seguire.

Secondo tiro di misto foto A.D.D.Al secondo tiro scalo quella sbagliata, anzi salgo quella giusta ma che avrei dovuto lasciare dopo un po’. Ridiscendo, traverso e riprendo quella giusta. Pulisco le fessure e proteggo allo stesso tempo. Alcuni passaggi molto delicati su una placca di granito compatta mi permettono di arrivare alla sosta e di far salire Andrea.

Secondo tiro di misto foto A.D.D.

Ci vogliono svariate ore per fare tutto questo e di certo non si puo dire che siamo veloci. Da qui, dal terzo tiro, comincia un lungo traverso che ci porta alla base del camino che con 4 o 5 tiri di ghiaccio incassato portano sulla cresta da cui con altri due tiri si è sulla cresta finale e poi con un traverso si dovrebbe riuscire ad arrivare alla base del fungo sommitale.

Parte facile del traverso foto A.D.D.All’imbocco del camino lasciamo passare la cordata dell’amico Marcello Sanguineti  senza però renderci conto che due cordate assieme in quella spaccatura naturale della roccia non possono salire. Gia giorni addietro era avvenuto un incidente per la caduta di un blocco di ghiaccio sulla cordata sottostante che aveva causato una bella contusione ed un grande spavento per la seconda cordata di Norvegesi. Avevamo deciso di unire le due cordate al fine di ridurre i rischi ma è stata sicuramente una scelta sbagliata. Due cordate insieme in quella stretta fenditura corrono troppi rischi a causa della caduta di ghiaccio.
La montagna è anche questo ed a quel punto il caso ha voluto che rinunciassimo alla salita promettendoci di riprovare più avanti e cominciando la discesa. I due amici Italiani riescono a scalare la goulotte di 4 o 5 tiri e si fermano al suo termine probabilmente per l’ora tarda che si era venuta a fare. Io e Andrea ridiscendiamo con una serie di doppie. Qualche giorno dopo mossi da una presunta finestra di bel tempo corriamo di nuovo al Nipo Nino, ma nevica ancora una volta. Tanto è il desiderio che la notte partiamo ugualmente ma questa volta non arriveremo neanche al colle Standhart.

Primo tiro di misto foto A.D.D.

Pizzo Deta – Via nuova – “Spazzacamin”

Goulotte appenniniche. Nuova via a Pizzo Deta!

di Fabio LUFFARELLI

Fabio Luffarelli

Ecco, mi arriva l’sms di Daniele: “domani vado con Mauro da qualche parte”…posso mancare? Non credo. Al mio sì arriva un altro messaggio: “ricordati di potare qualche chiodo da roccia e la frontale”. Tra me e me penso: “ecco una nuova via stile Daniele, misto estremo”.

La mattina seguente l’appuntamento è con Mauro Natali davanti alla palestra di arrampicata di Sezze, entrambi aspettiamo Daniele per circa un quarto d’ora. Mauro preoccupato lo chiama ma Dan dice di essersi appena svegliato, quando eccolo che arriva “tempestivo” con il suo bolide. Partiamo al volo, potevamo non essere in ritardo? Stefano Milani è già a Frosinone e Daniele dice di raggiungerlo in appena dieci minuti. Avete presente la macchina di ritorno al futuro? Ebbene, la stessa cosa. Sezze -> ciociaria in tempo record. Ma non è finita perché dobbiamo sopravvivere ad almeno un paio di colazioni…Ma ne avremo un gran bisogno.

Mauro Nadali

Arriviamo a Roccavivi, il paesino dal quale si accede al versante nord di Pizzo Deta (2054 m), con il suo caratteristico canalone chiamato “Peschiomacello”. L’avvicinamento in questa zona è, come al solito, a grande interpretazione. Sali e scendi, sterrate e stazzi, dove solo la memoria di due esperti (Stefano e Daniele) di queste zone ci può orientare. Le condizioni sembrano ottime e la giornata altrettanto. Arrivati sotto una grande parete rocciosa, dove la settimana precedente Daniele con Alessandro Di Lenola avevano aperto una nuova via, Stefano continua a salire per Peschiomacello e Daniele ci propone una nuova variante che già stava studiando da giù. Nel frattempo Mauro e Daniele mi “usano” come sherpa battitracce, dicendomi “dai sei giovane, falle bene ste tracce”. Alla grande! Stefano salutandoci ci dice: “avete idea che scenderete forse di notte?”. Esagerato, penso. In ogni caso non mi risparmio molto a battere la traccia su quella neve in cui si sprofonda.

Da qui si fa tutto emozionate e nuovo, questo senso di avventura alla scoperta di nuovi angoli ci porta a intercettare linee inesistenti o possibili. Dopo un po’ di studio ci spostiamo leggermente verso sud rispetto a Peschiomacello, dirigendoci sotto i grandi roccaforti rocciosi ben visibili da sotto la montagna. Ci sistemiamo un po’ di ferraglia ed iniziamo a salire slegati per un pendio con un salto ghiacciato e divertente. Arriviamo così ai piedi delle pareti rocciose, a prima vista nulla sembra praticabile, tutti camini senza uscita, strapiombi; ma lo ammetto non ho l’occhio. Vaghiamo un pochettino, ritorniamo verso destra, Daniele è profondamente concentrato, quasi ipnotizzato, tant’è che quasi lo perdiamo. Non lo vediamo molto convinto, sembra non ispirarlo nulla, quando improvvisamente decide di provare una specie di camino con una colata di ghiaccio. La vedo e penso: “per la miseria e chi avrebbe mai immaginato di salirla”; non pensare, non pensare. Inizia così il primo tiro, protezioni aleatorie fino ad un albero sicuro per una clessidra, ma lo stesso albero impedisce un agevole passaggio per quella che è la prima sosta. Capisco subito che sebbene questi arbusti rovinino un po’ la sensazione di alta quota che potremmo avere, sono vitali. Il primo tiro è breve ma non lascia sconti, appena si inizia a salire la verticalità è palese…Ed io che ho iniziato ad arrampicare da nemmeno un anno, senza troppe pretese e costanza: “ma che ci faccio qui??”. Ci prendo subito gusto però, quell’albero è un po’ fastidioso da passare ma eccoci subito in sosta. Il bello però deve ancora venire, perché il secondo tiro si sviluppa tutto dentro quel camino spettacolare. Dan parte subito, io e mauro in sosta su un albero. Mi inizia subito a cadere una doccia costante di ghiaccio, condanna che subirò fino in vetta, dato che sono stato sempre l’ultimo di cordata. Daniele si vede e non si vede, il passaggio è strettissimo e non riesco a capire dove si stia proteggendo, Mauro mi chiede costantemente: “lo vedi? Che fa?”. Cerco disperatamente di catturare qualche foto in quei rarissimi momenti in cui non cade niente, poi, stando proprio sulla verticale, non è simpaticissimo dare colpi di testa a quello che cade. La faccenda sembra farsi seria: Daniele si toglie lo zaino e si sente mettere un chiodo. Se Dan arriva a tanto la faccenda è davvero seria. Altra doccia, imprecazioni e impazienza ed è fuori, ma non si sente nulla, non si vede. Io e Mauro sentiamo un vago urlo e un successivo rapido tirare la corda, è in sosta. Parte Mauro, altra bella doccia di ghiaccio. La cosa interessante a questo punto è che in questo camino pazzesco Mauro si carica lo zaino di Daniele. Non è difficile immaginare le mille imprecazioni e la mia attesa sotto questa costante pioggia gelata. Ma il ghiaccio è letteralmente stupendo, quel tiro assolutamente impegnativo; foto e parole non lo possono rendere. Salgo, spacco i piedi, cerco fessure dove incastrare le punte dei ramponi, non so se usare le piccozze o le mani (…ci manca solo che mi do le piccozze sulle mani), nel frattempo mi tocca togliere le protezioni, tranne quel chiodo essenziale. Nel frattempo penso a Daniele che è salito da primo. Arrivato su vedo Dan che mi filma. Non riesco a capire se sia più insopportabile sentirsi il ghiaccio che penetra nella schiena sudata,

Secondo tiro

oppure se prendere e lasciare le piccozze riponendo estrema fiducia in sfuggenti millimetri della punta di rampone. Sono fuori, un tiro magistrale, già la via merita solo per questo fantastico passaggio. Non finisce però, ecco prospettarsi subito il terzo tiro: un salto di una ventina di metri con ghiaccio sottilissimo, quasi inesistente, tra erba e roccia. Daniele inizia velocissimo, sicuro anche qui. Si incastra su una bella fessura e si appoggia sulla parete sporgente di sinistra, portando avanti un felice gioco di opposizione. La vera abilità qui è saper proteggere, di chiodi da ghiaccio nemmeno a parlarne, solo dadi e friends e qualche chiodo. Anche questo terzo tiro supremo, nonostante la solita doccia. A questo punto Daniele studia la linea e prova a capire dove è più opportuno far passare quello che ormai è il quarto tiro. Un breve traverso in conserva ci porta all’attacco dell’ultimo tiro, una serie di muri ghiacciati, vere e proprie “goulotte appenniniche”. Straordinario cosa riesce a regalare una quota che a stento tocca i duemila metri. Anche questo tiro impegnativo, protezioni aleatorie. Un tiro che sembra non finire mai, proprio quando le forze si fanno meno, considerato che la luce del sole ormai volge al tramonto e sui polpacci pesa l’avvicinamento di Peschiomacello, che già di per sé è un trekking impegnativo. Non solo, proprio all’ultimo ci si mette un piccolo dado che non vuole uscire dalla fessura.

Terzo tiro

Un po’ di martellate con la piccozza ed anche questa è fatta, siamo fuori. A questo punto non so più dove sono, so solo che Peschiomacello è sulla destra e la vetta in alto: strepitoso, scenario alpino ad un’ora da casa. Finalmente all’uscita di quell’ultimo passaggio l’ultima luce del sole ci bacia per farci vedere che manca solo un canale per giungere in vetta. Nel frattempo sulla destra si vedono delle tracce che risalgono un canale abbastanza scosceso. Chi può essere quel matto che si avventura da queste parti? Daniele la settimana precedente, l’uscita di quella via aperta con Alex.

Gli ultimi passi si fanno sempre più pesanti: bisogno di cibooo! Finalmente eccoci alla madonnina e alla croce di vetta, una vera e propria apparizione al volgere del giorno. Tempo per fare un po’ di foto, di mangiarsi qualcosa, godersi la luce del tramonto e via giù, anche perché fa un freddo cane. La notte scende presto a Peschiomacello, che ormai sembra una passeggiata in discesa, anche se in alcuni punti il ghiaccio è di marmo; si vedono le orme di Stefano. Una luna magnifica e il cielo stellato ci premiano. Quasi mille metri di dislivello e forse (ma forse) più di trecento metri di sviluppo della via.

OMBRE APPENNINICHE

Alle otto siamo alla macchina, tutti e tre sentiamo il bisogno di una bella pizza ma fato volle scegliere una pizzeria più fredda della vetta di Pizzo Deta; non c’è problema con quella fame si apprezza di tutto. Attorno a quel tavolo rivediamo un po’ di foto, la soddisfazione è tanta. Subito Dan ci stimola a pensare il nome della via, ma a nessuno viene in mente qualcosa in particolare. Non so, se si tratta di camini io mi sono sentito un po’ spazzacamino, ma questa è stata una mia sensazione a posteriori. Una cosa è certa un Appennino così non si vede tutti i giorni, se non lo vivi non sai neppure che ci sono certe condizioni: “Alla scoperta di Pizzo Deta!”. Un grazie a Daniele che ce lo fa scoprire con la sua esperienza e determinazione.

Daniele

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MONTE VELINO

Plein Sud

Questa è la via dei miei sogni, l’hanno scalata due amici Marcello Sanguineti e Sergio De Leo insieme ad altri due che non ho avuto ancora modo di conoscere.

Faccio a tutti e quattro i miei migliori complimenti. Mancano un paio di tiri, ma questa è storia…

Qui le foto gentilmente speditemi da Marcello.

Presto altri dettagli. ANTEPRIMA.

Lo spigolo del Gran Sasso – Invernale!

Quel giorno mi sarebbe piaciuto andare a vedere la presentazione di Cristoph Hainz. Era anche l’occasione di tornare a L’aquila e perchè non metterci una scalata al Gran Sasso. Il problema come al solito è trovare il compagno di cordata. Uno che non abbia impegni il sabato sera improcrastinabili, che sia appassionato di montagna e che sappia anche un po’ arrampicare. Come non mai la risposta arriva fulminea, Fabio si libera. Partenza alle 5e45 del mattino come al solito. Arriviamo alla funivia in tempo solo per la seconda salita. Alle 9 siamo su e comincia l’avvicinamento allo spigolo S-SE del Corno Grande al Gran Sasso.

Le condizioni quest’anno sono particolari, c’è tanta galaverna sulle pareti. La sorpresa nasce quando Fabio disperato mi confessa che ha dimenticato l’imbrago a casa… “Mi dispiace per la salita!”, “Non ti preoccupare ho un paio di fettucce in più…”. Arriviamo all’attacco dello spigolo che sembra in condizioni terribili. Tuttavia l’ho fatto già altre volte in inverno e so dove passare. Il primo tiro è come sempre, roccia, un friend nella fessura di attacco, e poi un micro in alto e via di run out in sosta.

Ora riesco a mettere a fuoco quella strana sensazione. E’ tutto bianco, incrostato di neve, in parte ghiacciata. Mi sale un emozione strana…Scozia! “Qui è meglio che in Scozia!”. Comincio a battere la piccozza nella neve pressata ed ogni tanto picchio troppo forte e la becca sbatte sulla roccia sottostante. Il gioco “tiene o non tiene” diventa quasi morboso. Su questa salita ci sono quattro passi delicati in inverno che possono cambiare drasticamente a seconda delle condizioni. Il 3° tiro dopo il traverso, la placchetta di 4° al 5° tiro, il 6° tiro e quello che io chiamo il naso perché quando lo passi ti sembra di saltare su un monolite a forma appunto di naso. Ed oggi sono tutti e quattro molto impegnativi ma il momento più difficile è la placchetta di 4°. Il 4° non è difficile d’estate, ma d’inverno, con la crosta di neve sopra, senza sapere se tutto questo terrà o viene giù è tutto un altro impegno!

La placca è protetta con una serie di chiodi incassati nella fessura strapiombante che sovrasta la placca che ha alla sua base un vecchio chiodo. Il fatto che oggi ci sono circa 40/60 cm di crosta nevosa che intasano la fessura e coprono tutti i chiodi.

Non solo, questa neve non è ghiaccio ed è essenzialmente inconsistente. Tra l’altro la placca è liscia già d’estate, figuriamoci con i ramponi ai piedi. Parto con lo zaino sulle spalle. Metto il rinvio sul primo chiodo e proseguo. Punto i ramponi su rotondità della placca, sviluppo l’aderenza di punta di ramponi. Le picche tagliano la neve, cerco di battere nella fessura per trovare un pò di ghiaccio ma con la fessura a forma di camino che mi chiude dietro le spalle sono costretto a tenere l’equilibrio e lo sbandieramento facendo forza sulle punte dei ramponi. “Occhio Fabio…”. Salgo un altro paio di metri.

E’ una lotta impari ma quanto mi sto divertendo? Poggio una spalla contro la parete, picchio con la piccozza che ho nella mano destra facendole fare una rotazione da sinistra a destra per conficcarla più in alto e dentro la fessura “Ci sara un pò di ghiaccio!”. Qualche secondo dopo sento le picche scivolare, lasciano due stretti binari nella neve. i ramponi scintillano sulla placca lasciando puzza di zolfo. Comincio a sbattere a sinistra e destra e ricordo bene i mignoli stretti a morsa sulle picche che bruciano strusciando sulla parete. Mi ritrovo a guardare verso l’alto, conficcato e rimbalzato nella neve otto stramaledetti metri più in basso. Mi fanno male le nocche. Ho un sorriso da idiota stampato sul volto.

Arranco sulla corda per rimettermi dritto. Le ginocchia reggono. Non sudo neanche una goccia. Guardo Fabio stupefatto “Non credevo che saresti volato! Che facciamo scendiamo?”, “Ma che stai fori, mò c’è da divertirsi!”. Tolgo lo zaino dalle spalle. Ho i movimenti ben memorizzati, ma stavolta devo guardarmi alle spalle. Riesco a ruotare completamente la battuta della picca verso la parete che ho alle spalle. Mi giro e mi alzo sullo strapiombo della parete che si chiude a fessura sulla placca. Mi alzo, controllo la sbandierata. Poso la punta del rampone su un buchetto obliquo, lo carico fino allo spasimo. Lascio una picca infilata alle mie spalle. Allungo verso sx dopo aver cambiato mano sulla piccozza piantata in mezzo ai due binari lasciati nella caduta. Due linee dritte che tagliano la neve in verticale. Mi alzo altri due metri, uso il ginocchio per salire. Esco. Urlo. Impossibile proteggere. Vado su per altri 20 metri. Sosta.

C’è un altro tiro complicato. Le condizioni sono fantasmagoriche. Ho in faccia una vela di 60 cm. Spacco ed allugno. Un friend in basso e nient’altro. Io vado per la mia strada. Il resto è storia. Fabio si fà una foto all’imbrago ed esclama: “Però la pensavo più difficile…”.

Via nuova al Gran Sasso – Parete N-NE Corno Grande

A me sinceramente stanotte di spiegare, a chi non sa, cos’è una goulotte non mi và, però giusto per capirci è diversa dalle coulotte, che sarebbero meglio e sicuramente più calde delle goulotte!!! Comunque queste ultime sono delle colate di ghiaccio che in genere si formano per fusione della neve e successivo ricongelamento nelle spaccature della roccia: diedri, camini, fessure, etc.

Se ci si trova particolarmente in alto, come sulle Alpi o in Himalaya queste sono belle corpose e ci puoi infilare dentro delle belle viti da ghiaccio con tanto entusiasmo che almeno non ti schianti giù se cadi. Se invece ti trovi in Appennino allora devi stare attento, moolto attento.

Il ghiaccio è sottile, spesso wvanescente, appena accennato sulla roccia o incastrato nelle fessure. E’ praticamente impossibile mettere le viti da ghiaccio, le uniche protezioni valide sono i chiodi da roccia e qualche micro-friend qua e là sulle rocce ai lati.

La settimana scorsa Emanuele Pantone, buon amico, insiste da buon battitore ad andare al Gran Sasso. Io non è che avevo tanta voglia. Ci vogliono due ore abbondanti di auto, spendi dei soldi e la maggior parte delle cose da fare, in un periodo di neve calda e valangosa come questo…le ho già fatte. Comunque dato che non uscivo con Emanuele da un pezzo, decidiamo di andare.

Bene, si dice che le cose più belle nascano per caso e questo è proprio il caso di dirlo è una di quelle volte.

Nasce una via nuova in Goulotte primaverile, in quanto l’inverno ufficialmente se ne è già andato, dicono. Questa via ho deciso di chiamarla in due modi “PantoneMimaNardi” oppure “Alla faccia dell’Australopiteco”. La prima si spiega da sola, l’altra non ve la posso spiegare perchè ha un senso ben preciso e qualcuno si potrebbe incazzare.

Comunque io mi sono divertito un sacco, RunOut bellissimi su terreno di misto e ghiaccio che così secondo me neanche di inverno lo trovi al Gran Sasso. Comunque Emanuele si è comportato veramente bene considerando che non metteva i ramponi da due anni. La funivia alla fine ci ha aspettato, cioè ha aspettato Emanuele che io ero già arrivato. La via è bella, merita, direi difficilina, poco protegibile e con le soste da inventare. Una giornata memorabile con un sole che spaccava le pietre.

Sono soddisfatto e felice, quella linea è artistica. Mi chiedo come sia uscita fuori e non lo sò bene, Sò però che quando un pò scoglionato avevo deciso di rinunciare all’Haas Acitelli e mi ero diretto al canale centrale, come accadde qualche mese fa ho visto quella linea. Ci ho perso un pò per capire se si poteva fare. Poi abbiamo deciso di lasciar stare. Ma come sono salito altri 50 m nel canale e mi si è aperta la vista sulla parete ho deciso di scendere e di affrontare il mostro. Ma che cavolo, dico, si vive una volta sola e forse pure poco se continuo così quindi non mi imitate o se mi imitate fate cose più difficili così uno la fa finita in breve, che in fondo questa non è che mi ha fatto impegnare poi troppo.

Una fessura larga 30 cm e piena di ghiaccio buono vale la pena sopratutto se si trova in Appennino. Le picche una sopra l’altra ed i ramponi che grattano sulla roccia, puro misto di goulotte.

Qui di seguito la relazione

Relazione di “Pantonemimanardi!” oppure “Alla faccia dell’Australopiteco!”.

L’attacco della salita è sopra il roccione a circa 100 m dall’inizio del canalone centrale. Salire 4 m ed attaccare direttamente a sx la placca che diventa leggermente aggettante nei primi metri. Poi si abbatte e sostare circa 22/25 m più in alto sulla dx e sotto un diedrino aggettante bloccato sull asua sx da un muro verticale. La sosta è preferibile farla qui usando una fessura orizontale che si apre sulla placca compatta che presenta una piccolissima clessidra, difficile da inserire un cordino, un friend 0,3 o micro 0 ed un chiodo ad “U”. Si attacca direttamente facendo attenzione ai primi 7/10 m, difficile da proteggere. Si continua per risalti non troppo ripidi, passando sulla sx un masso, oltre il quale un nuovo muro sbarra la strada. Osservando ci sono due scaglie entrambe utilizzabili per fare la sosta. Da qui pochi metri a dx si apre una fessura stretta e netta che salta per una decina di metri sul verticale. E’ stato lasciato un chiodo unioversale color argento a dx. Difficile da proteggere con ghiaccio sottile ma buono e ben incassato si tira dritti per circa 40/45 m. Si sovrasta un masso sulla sx per fare sosta con un cordino molto lungo intorno al masso. Da qui ci sono diverse soluzioni, la più semplice sembra seguire lo scavallamento diretto del muretto sovrastante. Una soluzione più elegante prevede lòa traversata a dx di 5/6 m a cercare una fessura aperta che comincia su placca con ghiaccio di colata sottilissimo per circa 10 m. Un chiodo nero a cuneo è stato lasciato su una fessura a dx della colatina. Il diedro abbattuto comincia con una placca di roccia di 2/3m. Si esce con 30 m facendo sosta su un sasso rivolto verso il basso con cordino a contrasto. Altri 30 m di conserva per guadagnare la cresta con la quale si guadagna la vetta.


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