Quel giorno mi sarebbe piaciuto andare a vedere la presentazione di Cristoph Hainz. Era anche l’occasione di tornare a L’aquila e perchè non metterci una scalata al Gran Sasso. Il problema come al solito è trovare il compagno di cordata. Uno che non abbia impegni il sabato sera improcrastinabili, che sia appassionato di montagna e che sappia anche un po’ arrampicare. Come non mai la risposta arriva fulminea, Fabio si libera. Partenza alle 5e45 del mattino come al solito. Arriviamo alla funivia in tempo solo per la seconda salita. Alle 9 siamo su e comincia l’avvicinamento allo spigolo S-SE del Corno Grande al Gran Sasso.
Le condizioni quest’anno sono particolari, c’è tanta galaverna sulle pareti. La sorpresa nasce quando Fabio disperato mi confessa che ha dimenticato l’imbrago a casa… “Mi dispiace per la salita!”, “Non ti preoccupare ho un paio di fettucce in più…”. Arriviamo all’attacco dello spigolo che sembra in condizioni terribili. Tuttavia l’ho fatto già altre volte in inverno e so dove passare. Il primo tiro è come sempre, roccia, un friend nella fessura di attacco, e poi un micro in alto e via di run out in sosta.
Ora riesco a mettere a fuoco quella strana sensazione. E’ tutto bianco, incrostato di neve, in parte ghiacciata. Mi sale un emozione strana…Scozia! “Qui è meglio che in Scozia!”. Comincio a battere la piccozza nella neve pressata ed ogni tanto picchio troppo forte e la becca sbatte sulla roccia sottostante. Il gioco “tiene o non tiene” diventa quasi morboso. Su questa salita ci sono quattro passi delicati in inverno che possono cambiare drasticamente a seconda delle condizioni. Il 3° tiro dopo il traverso, la placchetta di 4° al 5° tiro, il 6° tiro e quello che io chiamo il naso perché quando lo passi ti sembra di saltare su un monolite a forma appunto di naso. Ed oggi sono tutti e quattro molto impegnativi ma il momento più difficile è la placchetta di 4°. Il 4° non è difficile d’estate, ma d’inverno, con la crosta di neve sopra, senza sapere se tutto questo terrà o viene giù è tutto un altro impegno!
La placca è protetta con una serie di chiodi incassati nella fessura strapiombante che sovrasta la placca che ha alla sua base un vecchio chiodo. Il fatto che oggi ci sono circa 40/60 cm di crosta nevosa che intasano la fessura e coprono tutti i chiodi.
Non solo, questa neve non è ghiaccio ed è essenzialmente inconsistente. Tra l’altro la placca è liscia già d’estate, figuriamoci con i ramponi ai piedi. Parto con lo zaino sulle spalle. Metto il rinvio sul primo chiodo e proseguo. Punto i ramponi su rotondità della placca, sviluppo l’aderenza di punta di ramponi. Le picche tagliano la neve, cerco di battere nella fessura per trovare un pò di ghiaccio ma con la fessura a forma di camino che mi chiude dietro le spalle sono costretto a tenere l’equilibrio e lo sbandieramento facendo forza sulle punte dei ramponi. “Occhio Fabio…”. Salgo un altro paio di metri.
E’ una lotta impari ma quanto mi sto divertendo? Poggio una spalla contro la parete, picchio con la piccozza che ho nella mano destra facendole fare una rotazione da sinistra a destra per conficcarla più in alto e dentro la fessura “Ci sara un pò di ghiaccio!”. Qualche secondo dopo sento le picche scivolare, lasciano due stretti binari nella neve. i ramponi scintillano sulla placca lasciando puzza di zolfo. Comincio a sbattere a sinistra e destra e ricordo bene i mignoli stretti a morsa sulle picche che bruciano strusciando sulla parete. Mi ritrovo a guardare verso l’alto, conficcato e rimbalzato nella neve otto stramaledetti metri più in basso. Mi fanno male le nocche. Ho un sorriso da idiota stampato sul volto.
Arranco sulla corda per rimettermi dritto. Le ginocchia reggono. Non sudo neanche una goccia. Guardo Fabio stupefatto “Non credevo che saresti volato! Che facciamo scendiamo?”, “Ma che stai fori, mò c’è da divertirsi!”. Tolgo lo zaino dalle spalle. Ho i movimenti ben memorizzati, ma stavolta devo guardarmi alle spalle. Riesco a ruotare completamente la battuta della picca verso la parete che ho alle spalle. Mi giro e mi alzo sullo strapiombo della parete che si chiude a fessura sulla placca. Mi alzo, controllo la sbandierata. Poso la punta del rampone su un buchetto obliquo, lo carico fino allo spasimo. Lascio una picca infilata alle mie spalle. Allungo verso sx dopo aver cambiato mano sulla piccozza piantata in mezzo ai due binari lasciati nella caduta. Due linee dritte che tagliano la neve in verticale. Mi alzo altri due metri, uso il ginocchio per salire. Esco. Urlo. Impossibile proteggere. Vado su per altri 20 metri. Sosta.
C’è un altro tiro complicato. Le condizioni sono fantasmagoriche. Ho in faccia una vela di 60 cm. Spacco ed allugno. Un friend in basso e nient’altro. Io vado per la mia strada. Il resto è storia. Fabio si fà una foto all’imbrago ed esclama: “Però la pensavo più difficile…”.
Commenti recenti